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"... per quanto le leggi possano essere particolareggiate non cesseranno forse mai d'aver bisogno di interpreti": così Manzoni (La Colonna infame, II) rappresentava la vocazione ermeneutica del diritto. La filosofia contemporanea ha svelato che il comprendere è modo d'essere dell'esistenza umana. Il problema dell'interpretazione va dunque pensato in un nuovo orizzonte, a muovere dalla consapevolezza che il soggetto-interprete è ontologicamente situato nella struttura del circolo ermeneutico. La storicità dell'interprete induce l'esigenza di riproporre la questione dell'oggettività, specie per il giurista, chiamato già sempre a ricercare soluzioni certe dei conflitti sociali. Il problema va tematizzato: scacciata la tentazione di eliminare uno dei due termini, deve riflettersi proprio sulla connessione tra oggettività quel che deve essere - ed esistenza dell'interprete - quel che è. Dunque, sull'ineludibile oggettività esistenziale dell'interpretazione. Si può, e in che misura, sfuggire al destino esistenziale del "Forse"?.